LA CORTE DI APPELLO

    Ha  pronunziato la seguente ordinanza nella procedura di cui agli
art.  2  e  segg.,  legge  24 marzo 2001, n. 89 e relativa al ricorso
depositato  il  18  marzo  2005  da  Lagasco Antonio, rappresentato e
difeso   dall'avv.   Andrea   Bava   e   dall'avv.  Alessandro  Bava,
domiciliatario  con  studio  in  Genova,  via alla Porta degli Archi,
10/6, come da mandato in calce al ricorso introduttivo, ricorrente;
    Contro,  Presidenza  del  Consiglio  dei ministri, in persona del
Presidente   del   Consiglio  pro  tempore,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  distrettuale  dello  Stato  di  Genova, presso i cui
uffici   domicilia   in   Genova,   viale  Brigate  Partigiane  n. 2,
resistente.

                              Ordinanza

    Letto  il  ricorso depositato il 7 luglio 2005 da Lagasco Antonio
nei  confronti del Presidente del Consiglio dei ministri con il quale
si  lamenta  l'irragionevole  durata  di  un  processo pendente prima
davanti  alla  Corte  dei conti sezione giurisdizionale di Roma e poi
avanti  alla  Corte  dei conti sezione giurisdizionale per la Regione
Liguria   diretto  ad  ottenere  l'annullamento,  con  i  conseguenti
effetti,  del  decreto  del Ministero delle poste e telecomunicazioni
del  24  gennaio  1990,  con  cui gli era stato comunicato il rigetto
della   sua   domanda   di  pensione  privilegiata  per  l'infermita'
«spondiloartrosi  cervicale e dorso lombare con discopatia cervicale»
in quanto «tale infermita' non costituiva impedimento permanente alla
prestazione del servizio alla data del collocamento in quiescenza del
dipendente»;
    che, infatti, egli aveva interposto ricorso avanti alla Corte dei
conti  di  Roma  avverso  la  decisione  sopra  menzionata fin dall'8
ottobre 1990, ma il procedimento, trasmigrato con l'entrata in vigore
della  legge  n. 19  del  14 gennaio 1994 presso la sezione regionale
della   Corte  dei  conti  per  la  Liguria  con  sede  in  Genova  e
regolarmente  proseguito, a seguito di comunicazione dell'ufficio del
23 marzo 1998 e di istanza di prosecuzione del 31 agosto 1998, si era
concluso  con  sentenza  di  rigetto  dalla Corte dei conti regionale
della Liguria solo il 2 maggio 2005;
    che,   secondo   il  ricorrente,  l'eccessiva  durata  di  questa
procedura  (anni 14  e  mesi  7  circa)  in  violazione  dei principi
espressi  dall'art.  6  par.  1 della Convenzione europea dei diritti
dell'uomo gli aveva causato gravi mortificazioni e disagi;
    che, pertanto, il ricorrente concludeva chiedendo il risarcimento
del  danno  non  patrimoniale o morale, da liquidarsi nell'importo di
euro  13.427,87,  oltre rivalutazione ed interessi di legge, vinte le
spese;
    che  era  disposta  l'acquisizione  di  ufficio  degli atti e dei
documenti  del  giudizio  pensionistico  per  il quale era dedotta la
violazione del termine ragionevole;
    che  la  Corte  dei  conti  con  relazione  cronologica  del  suo
coordinatore    amministrativo    in   data   21   novembre 2005   di
accompagnamento  del fascicolo, come tale acquisibile di ufficio agli
atti,  affermava  che  «il giudice rigetta il ricorso con la sentenza
n. 613  depositata  in  segreteria  il 2 maggio 2005 che pone fine al
travagliato,  ma  certo  non  inerte, iter giudiziario del ricorso in
oggetto»;
    che  intanto  si costituiva, con memoria del 19 novembre 2005, la
Presidenza  del Consiglio dei ministri chiedendo che, previa verifica
della  competenza  territoriale  funzionale  da  parte della Corte di
appello  adita,  fosse  affermata  la  infondatezza  del  ricorso del
Lagasco  o  comunque  che  il  danno non patrimoniale, considerate le
specificita'    del   caso,   fosse   liquidato   in   misura   molto
ridimensionata,  sottolineando  che  la  legge n. 189/2001 in tema di
equa  riparazione  «non  ha  finalita'  punitive dell'Amministrazione
Pubblica...ma  solo lo scopo di ristorare in certa misura chi da quel
servizio poco efficiente abbia riportato concreti e gravi pregiudizi,
anche soltanto sul piano morale»;
    che  all'udienza  del 24 novembre 2005 in camera di consiglio, le
parti  illustravano le rispettive difese, eccependo in particolare il
ricorrente  la  tardivita'  della memoria integrativa dell'Avvocatura
depositata il 22 novembre 2005 e la Corte si riservava di decidere;
    osservato  che la relazione della Corte dei conti del 21 novembre
2005  puo' essere acquisita di ufficio in quanto elemento istruttorio
della  controversia  in esame, contenendo una descrizione esplicativa
dell'iter   del   processo  pensionistico,  per  cui  l'eccezione  di
tardivita' della sua allegazione non ha ragione di essere;
    che  ai  sensi  dell'art.  3,  primo  comma, legge n. 89/2001 «la
domanda  di equa riparazione si propone dinanzi alla Corte di appello
del  distretto  in  cui  ha  sede  il  giudice  competente  ai  sensi
dell'art. 11   del   codice  di  procedura  penale  a  giudicare  nei
procedimenti riguardanti i magistrati nel cui distretto e' concluso o
estinto relativamente ai gradi di merito ovvero pende il procedimento
nel cui ambito la violazione si assume verificata»;
    che, dunque, questa Corte, essendo stato il giudizio definito nel
grado  di  merito  avanti alla sezione regionale per la Liguria della
Corte  dei  conti  con  sede  in  Genova,  ha  piu'  volte in passato
sostenuto,  in  conformita'  del  resto alle decisioni della Corte di
appello  di  Firenze  che in corrispondenti ipotesi si e' a sua volta
dichiarata  incompetente  per  i  giudizi  pensionistici introdotti o
definiti  avanti  alla  Corte  dei  conti di Firenze, la tesi che non
sussiste  la  sua competenza a decidere in merito al diritto all'equa
riparazione  del  ricorrente  in  casi  come quello in esame, essendo
competente, a seguito del riferimento normativo al disposto dell'art.
11 del codice di procedura penale, la Corte di appello di Torino;
    che,   inoltre,   secondo  questa  Corte,  tale  incompetenza  e'
rilevabile  anche  di  ufficio  vertendosi  in  materia di competenza
territoriale  funzionale  fatta  valere  dal giudice al termine della
prima udienza (vedi ad es. Cass. 5 febbraio 2002, n. 1553);
    che, pero', la suprema Corte di cassazione gia' con sua pronuncia
del  12  novembre  2002,  n. 1653/2003  in  materia  di  controversie
amministrative  e  con altre successive numerose e costanti decisioni
anche  con riferimento a controversie pendenti o definite dalla Corte
dei  conti  ha affermato, in plurimi regolamenti di competenza (Cass.
17  settembre 2003, n. 13727, Cass. 10 luglio 2003, n. 10902, Cass. 7
aprile  2004,  n. 6894  e  per  le  controversie amministrative Cass.
n. 1653/2003,   Cass.  n. 7721/2003,  Cass.  n. 11300/2004),  che  la
competenza  territoriale  per  la trattazione dei ricorsi riguardanti
ritardi  verificatisi nel corso di giudizi svoltisi davanti a giudici
diversi da quelli ordinari deve essere individuata secondo i principi
generali  e  cioe'  con  riferimento  all'art.  25  del  c.p.c.,  con
esclusione  pertanto  della  rimessione  al  giudice territorialmente
individuato in base all'art. 11 del c.p.p;
    che,  infatti, secondo questa interpretazione della suprema Corte
ormai  consolidata (vedi per tutte Cass. 13 maggio 2004, n. 9170) che
ben   puo'  quindi  definirsi  diritto  vivente,  il  riferimento  al
distretto  -  sia  per  indicare l'appartenenza del giudice che si e'
occupato  o  si  occupa del procedimento in relazione al quale l'equa
riparazione  e'  chiesta, sia per individuare il giudice competente -
comporta la applicazione del criterio di competenza di cui alla norma
soltanto ai magistrati ordinari per i quali soltanto e' prevista - ad
eccezione della Corte di cassazione - l'articolazione territoriale su
base distrettuale;
    che, secondo la Corte suprema, invece, i tribunali amministrativi
cosi'  come  le  sezioni  giurisdizionali  della Corte dei conti sono
articolati  in  circoscrizioni regionali, che comprendono le province
facenti  parte  delle singole regioni ed hanno sede nei capoluoghi di
regione, per cui i giudici di queste giurisdizioni non fanno parte di
alcun  distretto  di  Corte  di  appello,  il  che e' sufficiente per
escludere   l'applicabilita'   ai   detti  giudici  del  criterio  di
competenza stabilito dall'art. 3, primo comma, legge n. 89/2001;
    che,  del  resto,  prosegue  la  Corte,  questa conclusione trova
conferma  anche  nella  ratio  della norma sopra menzionata in quanto
l'art. 3  ha inteso derogare ai criteri generali di competenza non in
generale  ma  allo  scopo  di  evitare  che i giudizi in tema di equa
riparazione  fossero  decisi  da  magistrati  ordinari operanti nello
stesso distretto, introducendo cosi', con la regola sulla competenza,
un  principio  di  imparzialita'  che  non  viene  in discussione nei
rapporti   tra  magistrati  appartenenti  ad  ordini  giurisdizionali
distinti;
    che,   dunque,  secondo  la  Cassazione,  per  il  suo  carattere
derogatorio e percio' eccezionale, la norma non puo' essere applicata
in  via  analogica  o  estensiva  oltre  i  casi  da essa considerati
(art. 14  disp.  sulla  legge  in generale.), per cui nei giudizi per
equa  riparazione,  in  relazione  a  dedotta durata irragionevole di
processi   celebrati   davanti  a  giudici  non  articolati  su  base
distrettuale,  la  competenza  per territorio deve essere individuata
secondo i principi generali: e, quindi, essendo convenuta in giudizio
l'amministrazione  dello  Stato, con riferimento all'art. 25 del cod.
proc.  civ.  (foro  della  p.a.),  secondo  il  quale  la  competenza
appartiene  alla  Corte di appello nel distretto della quale si trova
il  luogo  ove  e'  sorta  o deve eseguirsi l'obbligazione e cioe' il
medesimo in cui e' sito il giudice speciale (ex art. 103 Cost.);
    che,  in  questa  situazione,  la  Corte  costituzionale  ha gia'
affermato  il  principio  per cui deve essere respinta l'eccezione di
inammissibilita'  della  questione di costituzionalita' formulata sul
rilievo  che il remittente avrebbe dovuto egli stesso attribuire alla
norma  impugnata  il  significato  ritenuto  piu' idoneo a superare i
prospettati  dubbi  di  legittimita'  costituzionale,  in  quanto, in
presenza  di  un orientamento giurisprudenziale consolidato che abbia
acquisito  i  caratteri  del  «diritto  vivente»,  la  valutazione se
uniformarsi  o  meno  a  tale  orientamento  e' una mera facolta' del
giudice  remittente (vedi ad es. Corte costituzionale, 12 marzo 2004,
n. 91);
    che,  dunque,  legittimamente questa Corte di appello rileva come
la  predetta  interpretazione, che in verita' travalica totalmente il
letterale  dettato dell' art. 3, legge n. 89/2001, non possa tutelare
adeguatamente  l'esigenza  di  indifferenza  personale del giudice (e
dell'assenza   di   motivi   di  sospetto  di  possibile  carenza  di
indifferenza),  messa in pericolo dalla convivenza dei magistrati dei
vari  ordini  nella  medesima sede funzionale e che ben invece questa
esigenza  debba essere fatta in realta' valere appunto direttamente e
letteralmente dall'art. 3, primo comma, legge n. 89/2001 (senza alcun
ricorso pertanto ad inutili interpretazioni estensive od analogiche e
con pronuncia di incostituzionalita' di quella consolidatasi);
    che,  infatti,  proprio la inesistenza di una siffatta convivenza
nella  medesima  sede esclude, per una recente decisione della stessa
Cassazione  (sez.  I,  1°  agosto 2003, n. 11715), che un problema di
imparzialita'   ed   indipendenza  dell'organo  giudicante  si  possa
ritenere  esistente  tra i magistrati ordinari delle diverse Corti di
appello,  anche  se  gli  uni giudicano dei ritardi degli altri o dei
loro  colleghi  e segretari, e non si vede dunque perche' all'opposto
tale  convivenza  nella  stessa  sede  non  debba assumere un rilievo
costituzionalmente   rilevante  per  i  giudizi  di  cui  alla  legge
n. 89/2001   solo   perche'   i   giudici   appartengono   a  diverse
giurisdizioni,  non apparendo, come sara' in seguito precisato, anche
in  siffatta  ipotesi,  sufficienti  a  garantire  l'imparzialita'  e
l'indipendenza  del  giudicante  (valori costituzionalmente protetti)
gli   istituti   dell'astensione   e   della  ricusazione  che  fanno
riferimento  a  casi  singoli  e  non  a circostanze generali gia' in
astratto riscontrabili;
    che  questa  dovrebbe  dunque  essere  ritenuta la vera ratio del
disposto dell'art. 3, legge n. 89/2001, per cui l'attuale consolidata
interpretazione  che  ne  esclude l'applicabilita' alle giurisdizioni
speciali  e  per  esse  fa  richiamo  alla  competenza prevista dalla
disciplina  codicistica,  in  base  anche  ad  una  esclusione  della
necessita'  di tutela nei predetti casi dei sopra menzionati principi
costituzionali,  appare  al  contrario costituzionalmente illegittima
perche'  non  puo' garantire appunto l'imparzialita' e l'indipendenza
del  giudice con riferimento alla identita' della sede nei giudizi in
esame;
    che cio' appare evidente con tutta chiarezza nel caso dei giudizi
per equa riparazione da irragionevole durata del processo concernenti
controversie  affidate  alla giurisdizione della Corte dei conti come
quello  di cui si tratta, posto che il giudice ordinario deve in tale
circostanza  giudicare  di  eventuali  ritardi  ingiustificati (anche
eventualmente addebitabili direttamente ai magistrati della Corte dei
conti  con  le relative conseguenze amministrative) proprio di quegli
stessi  magistrati  e  relativo  personale, conviventi nella medesima
sede  del distretto di Corte d'appello, dinanzi ai quali a loro volta
potrebbero doversi difendere per ritardi ingiustificati egli stesso o
i  suoi colleghi di sede o il relativo personale di cancelleria (art.
5, legge n. 89/2001);
    che  ognuno  puo' quindi cogliere la confusione tra controllori e
controllati   che  inevitabilmente  ne  consegue  in  relazione  alla
medesima  controversia  (concernente  sotto  l'una  o l'altra veste i
ritardi  dei  processi) e la conseguente legittimita' di una verifica
costituzionale   del   diritto   vivente,   che  non  puo'  ritenersi
manifestamente infondata;
    che,  in conclusione, il disposto dell'art. 3, primo comma, legge
n. 89/2001, nell'interpretazione consolidata della suprema Corte e di
quasi  tutte  le  corti  di  merito  e percio' tale, si ribadisce, da
costituire  ormai  vero  e  proprio  diritto vivente, potrebbe essere
ritenuto  costituzionalmente  illegittimo  per violazione degli artt.
97,  comma  1  e  108  Cost.  nella  parte  in  cui  esso non risulta
applicabile  per  la  determinazione  della  competenza  territoriale
funzionale della Corte d'appello adita anche a tutte le giurisdizioni
di cui all'art. 103 Cost. tra le quali quella della Corte dei conti;
    che,  in  verita',  poiche'  l'interpretazione dell'art. 3, primo
comma,  legge  n. 89/2001  proposta dalla suprema Corte non individua
alcuna   differenza   di   argomenti   per  stabilire  la  competenza
territoriale funzionale a giudicare dell'equo indennizzo in relazione
ai  procedimenti  iniziati  presso  le  varie giurisdizioni speciali,
assoggettandole tutte a quella individuabile ex art. 25 del c.p.c. in
alternativa  a  quella  prevista  dall'art. 3, legge n. 89/2001 per i
magistrati     ordinari,     la     eventuale     dichiarazione    di
incostituzionalita'  non  potra' riferirsi solo alla Corte dei conti,
ma  a  tutte  le  predette  giurisdizioni speciali tra cui quelle del
giudice amministrativo e militare;
    che   e'  superfluo  ricordare,  infine,  come  la  questione  di
costituzionalita'   sollevata   e',   oltre  che  non  manifestamente
infondata,   rilevante   nel  presente  giudizio  dovendosi  decidere
pregiudizialmente se ritenere la competenza della Corte di appello di
Genova  o  dichiarare  la  incompetenza  della  medesima  per  essere
competente la Corte di appello di Torino;
    che  pertanto  gli atti vanno rimessi alla Corte costituzionale e
va disposta la sospensione del procedimento camerale in corso.